L’ESPERIENZA INGLESE (parte prima)

Oxfordcrest

In Gran Bretagna le coppie separate generalmente concludono scritture private per ciò che riguarda la gestione dei figli; solo il 10% delle separazioni passa attraverso il Tribunale, e sono quei casi particolari definiti “conflittuali”.

Nel luglio 2010 un membro del Parlamento inglese, Brian Binley, si fece promotore di una proposta di legge, The Shared Parenting Orders Bill, che disponeva l’affido condiviso per quei genitori separati non in grado di raggiungere un accordo autonomamente.

Nel marzo 2011, un altro membro del Parlamento, Charlie Elphick, presentò una nuova proposta di legge intorno al tema “minori”, The Children’s Access to Parent Bill, con il medesimo obiettivo: fare in modo che per le coppie in separazione incapaci di accordarsi per la custodia dei figli – ovvero per tutte quelle coppie che finiscono in Tribunale- venisse disposto dal Giudice l’affido condiviso. Sempre.

Queste proposte di legge avrebbero dovuto modificare il Children Act, del 1989, che dispone che il Tribunale, nel prendere un decisione in merito alla cura e all’educazione di un minore, deve tenere conto innanzi tutto del benessere dello stesso.

Le proposte di legge di Binley ed Elphic pretendevano di identificare l’esclusivo interesse del minore con lo “shared parenting” (l’affido condiviso con due residenze per il minore e il tempo suddiviso al 50% fra i due genitori), da applicare in tutti i casi di separazione conflittuale.

Per affrontare la questione con cognizione di causa, il Parlamento ha richiesto all’Università di Oxford (Department of Social Policy and intervention) di fare ricerche in merito all’argomento. L’Università ha prodotto un documento dal titolo “Caring for children after parental separation: would legislation for shared parenting time help children?“; dopo aver selezionato ed analizzato la bibliografia esistente sull’argomento, i redattori del documento hanno risposto alla domanda “la cura dei bambini dopo la separazione dei genitori: una legge sull’affido condiviso aiuterebbe i bambini?” e hanno risposto NO.

Le proposte di Binley ed Elphic sono state quindi rigettate con questa motivazione:

The child’s welfare should be the court’s paramount consideration, as required by the Children Act 1989. No change should be made that might compromise this principle. Accordingly, no legislation should be introduced that creates or risks creating the perception that there is a parental right to substantially shared or equal time for both parents. (Family Justice Review Final Report, pag.21).

Traduzione: Il benessere del minore dovrebbe essere la principale preoccupazione della corte, come previsto dal Children Act del 1989. Nessun cambiamento dovrebbe intervenire a compromettere questo principio e non dovrebbe essere introdotta nessuna legge volta ad introdurre o a creare la percezione dell’esistenza di un diritto dei genitori a pretendere un’equa divisione del tempo fra le due figure genitoriali.

Perché insistere sull’ “equa divisione del tempo” (doppio domicilio) non corrisponde al necessariamente al benessere del minore? La risposta dei ricercatori è stata questa:

The best parenting arrangement can depend on the individual circumstances of each family, and introducing the presumption of shared parenting time risks applying a ‘one size fits all’ approach to families.” Il miglior accordo è quello che tiene conto delle particolari necessità di ogni singola famiglia. L’espressione idiomatica “one size fits all”, che rimanda al mondo dell’abbigliamento, potrebbe essere tradotta: non esiste un’unica soluzione in grado di calzare a pennello a tutte le famiglie.

Per giungere a questa conclusione, lo studio condotto dall’Università di Oxford prende il via da una osservazione: la proposta di legge in oggetto (The Shared Parenting Orders Bill) is a proposal which is advanced to remedy the injustice and pain felt by some non-resident parents, ovvero nasce allo scopo di rimediare al doloroso senso di ingiustizia percepito dai genitori (non dai bambini) non-collocatari. Genitori non-collocatari che lo studio descrive con l’espressione fathers’group (pag.1, 10, 11): there are now demands for legislation to promote shared parenting in cases which go to the family courts. This is due in large part to growing pressure from fathers’ groups.

Da questa prima osservazione scaturisce la domanda: il desiderio di questi gruppi di pressione, ovvero l’affido condiviso in quei casi in cui il conflitto è tale da impedire alle parti di giungere di comune accordo ad una soluzione, corrisponde alla migliore soluzione anche per il minore? In soldoni: i desideri degli adulti coincidono con il bene del bambino? Perché è del bene del bambino, prima che della volontà degli adulti, che il Tribunale si deve preoccupare.

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